LA POLITICA PASSA, L’ARCHITETTURA RESTA
di Jacopo Muzio
Articolo originale: http://www.arcipelagomilano.org/archives/36127
Il 27 gennaio scade il Concorso Internazionale di Architettura per la riqualificazione dell’area del Mercato Ortofrutticolo di Milano, 592.000 mq – pari a due terzi della Bicocca – indetto da Sogemi, partecipata del Comune di Milano e controllata dall’Assessorato al Commercio. Un concorso che non è un concorso, segnalato all’Ordine degli Architetti di Milano in quanto potranno parteciparvi in pochi.
L’Ortomercato, insieme all’ex Macello, è una delle aree più vaste, centrali e sfortunate del Comune di Milano: lì avrebbe potuto insediarsi l’Expo Nutrire il pianeta, energia per la vita senza spendere denari pubblici per l’acquisto di aree private; nelle vicinanze, dove ora c’è uno sbiadito praticello, doveva sorgere la grande Biblioteca Europea di Informazione e Cultura; negli ex Macelli, la cui riconversione è affidata agli studenti del Politecnico ed ai loro professori (un tempo insegnavano Bottoni, Viganò, oggi il quadro è molto cambiato), un accordo di programma prevedeva l’insediamento dell’Università degli Studi, finita poi in Bicocca (..); all’epoca della Moratti, quando “la mafia non esiste a Milano”, di fronte all’ingresso della Presidenza Sogemi c’era il For a King, il night della ‘ndrangheta dei potenti Morabito. Tre mesi per voltare pagina. Tuttavia, scorrendo il bando, le caratteristiche richieste per parteciparvi e le domande-risposte all’ente proponente (le famose Faq!) risulta chiaro che il concorso sia cucito addosso a pochi fortunati; i concorrenti devono avere già realizzato negli ultimi dieci anni, al tempo stesso, grandi strutture di mercati ortofrutticoli, sviluppi immobiliari di vaste aree urbane, progetti energetici a scala territoriale.
In questi cinque anni la Giunta comunale, sostenuta da chi sperava di vedere una discontinuità con i metodi lobbistici da Seconda Repubblica del ventennio di centro destra, ha indetto: una pre selezione per il Museo della Memoria (Resistenza?), finito purtroppo in niente; un concorso aperto per un asilo di 200 mq (nel punto più in ombra di tutta Garibaldi Isola, poveri bimbi!); un concorso per il centro civico di Porta Garibaldi e un concorso per il Ponte della Bussa (promossi grazie alla piattaforma Concorrimi promosso dall’Ordine degli Architetti), il concorso per il Vigorelli, un concorso aperto per i Servizi – più che altro igienici – di Expo, indetto da Expo s.p.a., altra partecipata del Comune di Milano.
Evidentemente la nostra Giunta è poco sensibile all’architettura in generale ed in particolare alla storia dei concorsi di idee, i quali sono invece un modo efficace, democratico e previdente per avere progetti interessanti e non calare dall’alto le scelte del Comune, spesso discutibili.
La storia dei concorsi è interessante, in Italia potrebbe iniziare nel Rinascimento con la Cupola del Duomo di Firenze, vinto da Brunelleschi, per passare nel Risorgimento da Piazza Duomo di Milano oppure da Piazza Cordusio; episodi architettonici “epocali”, passati alla storia sia per la qualità dei concorrenti o magari dei progetti mai realizzati – di cui solo a Milano si potrebbe scrivere un libro – sia per la cifra intellettuale di chi li ha indetti. Ad esempio in Portogallo i concorsi hanno dato un nuovo volto alla giovane democrazia europea ed hanno sviluppato una scuola di architettura, divenuta nota in tutto il mondo.
Invece nel 2015 accade che nel centro storico di Milano – sempre più tirato a lucido mentre le periferie languono e fermentano – ci siano grandi baruffe: la Triennale di Milano, altra partecipata del Comune, chiama dieci consulenti, li fa lavorare quasi gratuitamente sull’area di Piazza Castello e poi da il lavoro ad uno di questi, sic et simpliciter.
Scatta un’altra segnalazione all’Ordine degli Architetti, il cui rappresentante nazionale sul Corriere giustamente scrive: “Gli Architetti italiani? Sono i nuovi poveri” (una volta le parole d’ordine erano: Amate l’Architettura! Gio Ponti; Architettura o rivoluzione! Le Corbusier; oggi agli studenti più talentuosi si consiglia di espatriare). Eppure Piazza Castello è una delle piazze storicamente più rilevanti, si direbbe da manuale, già funestata dal concorso “chiuso” – rigorosamente ad inviti, brutta abitudine ereditata dall’Era Albertiniana – per Expogate, il cui nome, che richiama l’americano Watergate, è tutto un programma.
Sempre e solo nel centro storico, l’auspicata riqualificazione della Darsena di Milano, oggetto di un Concorso Internazionale di progettazione nel 2008 (malamente sfogliato nelle soluzioni a terra proposte) la cui direzione lavori è stata infine affidata agli inamovibili tecnici comunali (assunti negli anni d’oro di Formentini & C.), che hanno realizzato un modestissimo intervento a budget ridotto, improntato a una edilizia anni ottanta lamiera verde / mattone a vista, un regionalismo pre muro di Berlino, appropriato forse all’ambiente rurale della provincia lodigiana, non a questa parte di storia del nostro territorio.
La riqualificazione di Piazza Oberdan è un altro progetto polveroso uscito dai tavoli dei tecnici comunali e dei Consigli di Zona – senza concorsi, “che fanno perdere tempo” – necessario e auspicabile nelle sue premesse e funzioni, ma veramente modesto nella sua configurazione: un marciapiedone in pietra e due aiuole, con la scritta 1925 a pavimento (sic). Churchill quando c’era da ricostruire il Parlamento inglese dopo la Seconda Guerra mondiale diceva ai suoi parlamentari: “Noi diamo forma agli edifici, poi gli edifici daranno forma al nostro modo di vivere” (“Architettura e potere”, Deyan Sudjic): la politica passa, l’architettura resta.