GRATTANUVOLE A MILANO, CHI SEMINA VENTO…
di Jacopo Muzio
Articolo originale: http://www.arcipelagomilano.org/archives/35562
Fino al 6 dicembre presso la Fondazione Catella di Via De Castilia a Milano è visibile la mostra “Grattanuvole”, curata dalla monzese Alessandra Coppa. Inaugurata all’insegna di un memorabile intervento della curatrice “La verticalità è nel Dna della città, fin dalla guglia maggiore del Duomo di Francesco Croce” e con al centro dello spazio espositivo un modello permanente dell’area di trasformazione Porta Nuova-Garibaldi (in parte proprietà della multinazionale texana Hines), il percorso espositivo inizia con i disegni della torre Galfa, ex proprietà del mentore di Catella, Salvatore Ligresti, per concludersi con una collezione di cartoline da New York di Italo Rota.
Una quadreria di video-interviste a esponenti di un sempreverde côté meneghino – dall’ex sindaco Gabriele Albertini a Roberto Caputo – accompagnano una video proiezione dagli spiccati tratti promozionali che esemplifica, con una soluzione grafica a funghi crescenti, l’evoluzione dei “grattanuvole” dal Duomo alla torre Unicredit, senza soluzione di continuità.
Nei video alcune sommesse ammissioni di colpa (Fuksas: “Diciamolo: i grattacieli fanno la felicità unicamente degli imprenditori edili“; Cino Zucchi: “I grattacieli sono degli Ogm“) si alternano a un maggioritario tifo aziendale da parte di autorevoli direttori di riviste, progettisti, eredi di progettisti, progettisti di eredi. Le voci di critici buoni per ogni stagione, ammaliati dalla progettazione del “piede” degli edifici di piazza Gae Aulenti e dintorni, in grado di “generare quartiere” (del resto, come noto, Fondazione Catella ha come primaria mission i “Progetti della Gente”, con la maiuscola) “fluidificando i flussi” invece che “fare tappo”, accompagnano il visitatore fino all’uscita. A piedi, nel deserto pomeridiano, solo la pioggia battente risveglia i sensi da tanto baluginìo, ripresa ancor più brusca se accompagnata dalla lettura de “Le Mani su Milano” di Franco Stefanoni, edizioni Laterza, 2014.
Nonostante le sollecitazioni della mostra e degli intervistati, non risulta né storicamente né criticamente convincente la tesi per cui i grattacieli siano nel Dna di Mediolanum, il quale “genius loci“, se proprio bisogna immaginarne uno, come sosteneva Vittorio Gregotti, è più prossimo all’orizzontalità delle marcite, delle risaie, delle cascine, dell’orizzonte convesso della pianura padana e dei filari di platani.
Milano non è San Gimignano, posta in cima a una collina sulla via Francigena, dove le torri inizialmente crebbero come osservatorio di difesa ma divennero ben presto sterile simbolo di potere feudale, come osservato da Le Corbusier in occasione del suo Grand Tour italiano. Milano non è nemmeno Pisa, dove i fiorentini, subito dopo la conquista, decisero di far capitozzare tutte le superbe torri della città, come antidoto futuro al torcicollo. Milano – zucchero e catrame, come cantava Lucio Dalla – ha subìto la cupola volutamente più larga di San Pietro e più alta del Duomo, opera di Don Verzè per il “suo” San Raffaele (a noi oggi i debiti, Deo gratias!) con alla sommità un minaccioso arcangelo tutto nudo e dorato, più brillante della Madonnina.
A Milano si sono dimenticate le fabbriche, le case di ringhiera, le stadère, perfino la distruzione del Lazzaretto e l’intenzione di costruire sul parco Sempione; si sono dimenticati anche i bombardamenti, la Villa Triste e la Resistenza … ma almeno il “tu vvò fa l’americano“, il voglio ma non posso, no! Quale sterile discussione, nel 2015, sostenere e legittimare la politica dei nuovi grattacieli ispirati al deserto culturale di Dubai, ennesimo paradiso fiscale; Blade Runner contro Delirious New York, dove l’estensione di ogni grattacielo corrisponde alla potenza economica di una major; chissà che cosa ne penserebbero davvero i maestri e intellettuali milanesi citati in mostra come Gio Ponti, Caccia Dominioni, Castiglioni, i BBPR, Gae Aulenti, ma anche Strehler o Pasolini, di questo tributo al rito ambrosiano del mattone, cinque milioni di mq costruiti nell’ultimo decennio, alla visione del mondo dei nuovi padroni della città.
Il grattacielo, massimizzazione del profitto nella minor area possibile, dove c’è chi sta ai piani alti e chi ai piani bassi, tutti uniti appassionatamente in un frigor climatizzato dai costi al metro quadro stellari, corrisponde a una precisa forma mentis.
A Parigi quando fecero una mostra del genere voluta dalla destra di Sarkozy, ci fu una mezza sommossa popolare. A Milano, che ha perso 400.000 abitanti e il valore del mattone è calato inesorabilmente, dove le banche, dopo la magistratura, si son prese quel che resta di imperi immobiliari dalle origini oscure, dove la criminalità organizzata è un colossal reale, fatto anche di scavi e betoniere – non come nelle straccione “Gangs of New York” – pensavamo di esserci lasciati alle spalle un futuro cinematografico da Gotham City, da decadente provincia dell’impero di stampo anglosassone, malamente scopiazzata negli schizzi romantici di Sant’Elia.. e Batman che fine ha fatto?