SCALI FERROVIARI: SE FORMA È UGUALE A SOSTANZA
Partita aperta per la politica urbanistica milanese
di Jacopo Muzio
Articolo originale: http://www.arcipelagomilano.org/archives/44803
Il 25 ottobre è stata organizzata presso il Consiglio di Zona 3 una interessante serata sugli scali ferroviari milanesi, dove tra i tanti interventi, è stata presentata la ricerca dal titolo “Trasformazioni degli scali ferroviari, esiti di un confronto su attese, esigenze e desideri dei soggetti locali” condotta nel 2013 dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano per conto del Comune di Milano al fine di mettere a sistema i contributi “civici” sul tema: Consigli di Zona, comitati di quartiere, associazioni, ecc.
Un documento utile e stimolante che si spera il Consiglio Comunale tenga in dovuto conto, dal momento che gli scali ferroviari, insieme alle altre aree milanesi in “stand by”, saranno la partita / opportunità su cui la cittadinanza giudicherà la cifra politica ed etica di questa e delle prossime giunte comunali.
Un aspetto forse non ancora sufficientemente indagato, almeno nei tanti articoli e dibattiti noti sul tema (il prossimo si terrà alla Fondazione Corrente il 24 novembre), è il “come” si ipotizza avvengano – in un futuro remoto, vista l’entità delle aree di proprietà FS, attualmente inedificabili – tali trasformazioni, a prescindere dal “che cosa” o dal “quanto”. Si sostiene da più parti che una proposta “strutturale” sia di utilizzare tout court modelli europei già consolidati nelle città gestite con successo dal centro sinistra. Parigi val bene una messa, ma qual è il limite delle concessioni che un governo è disposto ad accettare?
Nella capitale francese le aree di trasformazione sono previste in terreni in larga parte di proprietà pubblica oppure in aree acquisite da società partecipate del Comune (oggetto anche di una trasmissione di Report del 04/05/2008) prevedendo, per la parte residenziale, alloggi per 2/3 pubblici e 1/3 privati (Quartiere Bercy), oppure, in alternativa, 1/2 pubblici e 1/2 privati, attrezzando le aree di trasporti pubblici di grande distribuzione. La società che realizza le operazioni immobiliari è sempre a capitale misto: 51% Comune, 49% società di capitale privato. Il Comune compra i terreni, li lottizza, ne potenzia la viabilità, costruisce attrezzature, scuole, giardini. Alla vendita dei lotti il Comune riprende i soldi che ha investito, in un sistema di equilibrio finanziario teso alla parità di bilancio.
L’interesse pubblico è garantito fin dalle premesse societarie con un progetto urbanistico integrato, l’interesse privato è favorito avendo come garante delle operazioni immobiliari il Comune stesso, forte della sua struttura economica, amministrativa e tecnica, propedeutica all’investimento e alla progettazione. Infine, last but not least, la progettazione architettonica dei singoli lotti avviene unicamente tramite concorsi pubblici, per Legge. Tradotto con un neologismo: il Comune è l’imprenditore, un po’ come avvenuto a scala regionale con Expo S.p.a.
A Milano, significherebbe rivedere e favorire anche le politiche di naturale rigenerazione urbana da parte dei singoli proprietari immobiliari privati, ad esempio ampliando le agevolazioni fiscali, oggi presenti solo nelle Ristrutturazioni edilizie, anche alle Sostituzioni Edilizie (demolizione e costruzione ex novo, con aumento di volumetria, nel sedime di edifici già esistenti, senza consumo di nuovo suolo, con efficientamento energetico dei nuovi manufatti edilizi), con particolare riferimento agli oneri di urbanizzazione.
Un modello di sviluppo – se mai ve ne fosse bisogno di uno a Milano, visto il surplus di offerta abitativa di fascia medio alta e scarsità di offerta di fascia bassa, di cui è in costante crescita la domanda – “semplice” ed efficace, radicalmente diverso da quanto sperimentato nelle recenti trasformazioni urbane milanesi, di iniziativa privata tesa alla massimizzazione del profitto, la tanto dibattuta città verticale.
Un modello di rigenerazione urbana che ha profonde radici nella storia di Milano, la città di Cattaneo, dell’Umanitaria, di Antonio Greppi, di Aldo Aniasi… . Una testimonianza, che vale più di una dedica, è quella di Lidia De Grada in “Signora compagna” (Teti Editore, 1994) dove riporta la sua esperienza di “rappresentante del popolo” nelle istituzioni locali per trentacinque anni nelle file del P.C.I., prima come consigliere comunale di Milano, poi come assessore a Rozzano negli anni settanta. Sindaco per molti mandati fu Giovanni Foglia, contadino ed ex partigiano, di cui De Grada scrive “quando si pose il problema di accogliere tanti immigrati, incaricò urbanisti e architetti per ridisegnare il paese agricolo, senza perderne del tutto la connotazione. La sua passione era il verde e per ottenerlo si faceva pagare dai proprietari delle aree che volevano costruire gli oneri di urbanizzazione (altissimi), parte in denaro, parte con la cessione al Comune di spazi verdi. Il Comune, sotto la sua amministrazione, era diventato il più grande proprietario terriero”. Rozzano come Amsterdam, ma il futuro non è più quello di una volta.